Impresa femminile, legge ferma al 1992. Presentata alla Camera una PDL per definizione più equa e vocata al PNRR
Impresa femminile, solo il 14% delle pmi può oggi definirsi in "rosa". Presentata alla Camera una PDL per definizione più equa e vocata al PNRR.
Roma, 15 settembre 2021 – Presentata oggi alla Camere dei Deputati una proposta di legge che amplia e integra la definizione italiana di impresa femminile attualmente regolata da una legge ferma al 1992.
“Siamo felici di prender parte oggi alla presentazione di una pdl che non solo va nella direzione da noi auspicata ma che abbiamo contribuito a realizzare” apre così i lavori Vincenza Frasca imprenditrice e presidente del gruppo donne di Confimi Industria che qualche mese fa sollevò la questione alla politica facendo presente che nonostante le imprese femminili in Italia siano oltre 1 milione e 300 mila, ovvero 1 su 5, nel settore manifatturiero solo il 14% delle PMI si potrebbe davvero definire tale”.
Secondo la Legge 215/92 è infatti considerata impresa femminile la società cooperativa e la società di persone, costituita in misura non inferiore al 60% da donne e la società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai 2/3 a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i 2/3 da donne.
“Una definizione che non tiene conto degli ultimi 40 anni” sottolinea Frasca. “Se osserviamo l’economia reale – spiega infatti la presidente del gruppo donne di Confimi Industria snocciolando i dati di un’indagine del Centro studi confederale – ci rendiamo conto che il 66% delle aziende del nostro sistema economico ha dei soci donna e in quasi 8 (77%) aziende su 10 le donne rivestono ruoli apicali”.
A raccogliere la sfida comprendendo l’importanza di un adeguamento della norma la deputata della Lega Elena Murelli che ha depositato la pdl come prima firmataria. “L'imprenditoria femminile ha bisogno di essere tutelata da norme al passo coi tempi. Le donne che detengono il 51% di capitale delle aziende non possono accedere ai contributi previsti per le cosiddette 'aziende femminili'. Tra le PMI, una su cinque è detenuta da donne che però non detengono il 60% come la norma prevedrebbe. La Lega propone un intervento necessario per modificare la normativa adeguandola a una realtà imprenditoriale che negli anni si è evoluta con un contributo sempre maggiore delle donne, al fine di accedere a incentivi, sgravi fiscali e contributi anche del PNRR”
Una definizione che va necessariamente rivista – e con urgenza - anche alla luce dei 20 milioni stanziati in occasione dell’ultima Legge di Bilancio e dei 400 milioni contenuti nella Missione 5 del PNRR che prevede finanziamenti in supporto della formazione e dell’incidenza femminile nell’economia italiana.
E di fatto nella PDL si interviene in termini di inclusione ed equità anche nell’ottica di soddisfare l’obiettivo governativo di oltre 700 nuove aziende femminile entro il 2024 e 2400 nel 2026.
“Giusto mantenere il concetto di quota maggioritaria - ha sottolineato in chiusura Frasca - ma crediamo sia corretto riconoscere come imprese femminili le società cooperative e le società di persone, costituite in misura non inferiore al 51% da donne e le società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore al 51% a donne e/o i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno il 51% da donne. Con questo cambiamento, per esempio, nel manifatturiero le imprese femminili crescerebbero dal 14 al 33%”.
Roma, 15 settembre 2021 – Presentata oggi alla Camere dei Deputati una proposta di legge che amplia e integra la definizione italiana di impresa femminile attualmente regolata da una legge ferma al 1992.
“Siamo felici di prender parte oggi alla presentazione di una pdl che non solo va nella direzione da noi auspicata ma che abbiamo contribuito a realizzare” apre così i lavori Vincenza Frasca imprenditrice e presidente del gruppo donne di Confimi Industria che qualche mese fa sollevò la questione alla politica facendo presente che nonostante le imprese femminili in Italia siano oltre 1 milione e 300 mila, ovvero 1 su 5, nel settore manifatturiero solo il 14% delle PMI si potrebbe davvero definire tale”.
Secondo la Legge 215/92 è infatti considerata impresa femminile la società cooperativa e la società di persone, costituita in misura non inferiore al 60% da donne e la società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai 2/3 a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i 2/3 da donne.
“Una definizione che non tiene conto degli ultimi 40 anni” sottolinea Frasca. “Se osserviamo l’economia reale – spiega infatti la presidente del gruppo donne di Confimi Industria snocciolando i dati di un’indagine del Centro studi confederale – ci rendiamo conto che il 66% delle aziende del nostro sistema economico ha dei soci donna e in quasi 8 (77%) aziende su 10 le donne rivestono ruoli apicali”.
A raccogliere la sfida comprendendo l’importanza di un adeguamento della norma la deputata della Lega Elena Murelli che ha depositato la pdl come prima firmataria. “L'imprenditoria femminile ha bisogno di essere tutelata da norme al passo coi tempi. Le donne che detengono il 51% di capitale delle aziende non possono accedere ai contributi previsti per le cosiddette 'aziende femminili'. Tra le PMI, una su cinque è detenuta da donne che però non detengono il 60% come la norma prevedrebbe. La Lega propone un intervento necessario per modificare la normativa adeguandola a una realtà imprenditoriale che negli anni si è evoluta con un contributo sempre maggiore delle donne, al fine di accedere a incentivi, sgravi fiscali e contributi anche del PNRR”
Una definizione che va necessariamente rivista – e con urgenza - anche alla luce dei 20 milioni stanziati in occasione dell’ultima Legge di Bilancio e dei 400 milioni contenuti nella Missione 5 del PNRR che prevede finanziamenti in supporto della formazione e dell’incidenza femminile nell’economia italiana.
E di fatto nella PDL si interviene in termini di inclusione ed equità anche nell’ottica di soddisfare l’obiettivo governativo di oltre 700 nuove aziende femminile entro il 2024 e 2400 nel 2026.
“Giusto mantenere il concetto di quota maggioritaria - ha sottolineato in chiusura Frasca - ma crediamo sia corretto riconoscere come imprese femminili le società cooperative e le società di persone, costituite in misura non inferiore al 51% da donne e le società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore al 51% a donne e/o i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno il 51% da donne. Con questo cambiamento, per esempio, nel manifatturiero le imprese femminili crescerebbero dal 14 al 33%”.